L’operatore qualificato nella normativa pre-MiFID.
L’intermediario deve accertarsi dell’effettiva competenza ed esperienza della
controparte
L’articolo 31 del Regolamento Consob 11522
Uno dei principi generali che regolano l’ordinamento giuridico
dei mercati finanziari è che, al fine di garantire l’efficienza e l’integrità dei mercati,
il grado di tutela dell’investitore deve essere commisurato al suo livello di conoscenza e di
esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari.
Esistono, infatti, innegabili esigenze di celerità di esecuzione che contraddistinguono talune
operazioni finanziarie e che trovano giustificazione nell’obiettivo di efficienza dei mercati
mobiliari.
Il delicato rapporto tra la tutela dell’integrità dei mercati – e quindi dell’interesse pubblico
– e le esigenze di redditività ed efficienza – provenienti dai players dell’industria finanziaria
– è stato regolato dalla normativa nazionale pre-MiFID con la distinzione della platea degli
investitori in investitori retail ed operatori qualificati. I primi, evidentemente, necessitano del più elevato grado di tutela da parte dell’ordinamento in relazione alla loro scarsa (o assente) esperienza e conoscenza dei servizi finanziari. Per i secondi, in virtù della loro autosufficienza decisionale, si è optato per una liberazione dalla “gabbia” dei vincoli derivanti dalla normativa posta a tutela degli operatori meno sofisticati, prediligendo, piuttosto, una maggiore libertà di azione.
Alla luce di tali considerazioni, può essere facilmente individuata la ratio del disposto dell’art. 31 comma 1 del Regolamento Consob 11522 del 1998 (Reg. Consob 11522/1998). Tale articolo esonera l’intermediario che presti i propri servizi a o esegua operazioni con operatori qualificati dal rispetto di specifiche prescrizioni normative contenute nello stesso Reg. Consob 11522. Si tratta, in particolare, di norme generali nella prestazione dei servizi di investimento (artt. 27 - 30), norme relative a specifici servizi quali la negoziazione (art. 32) e la gestione dei portafogli (artt. 37 - 47) oppure obblighi informativi a carico dell’intermediario (artt. 60 – 62).
È fondamentale notare come il Legislatore nazionale abbia scelto di non includere tra gli articoli richiamati dall’art. 31.1 Reg. Consob 11522 l’articolo 26 dello stesso Regolamento. In tale articolo vengono sanciti i principi che disciplinano il comportamento degli intermediari finanziari per servire al meglio l’interesse degli investitori e per l’integrità del mercato.
Il Legislatore, tuttavia, non ha dimostrato eguale accortezza e lungimiranza nella definizione di operatore qualificato prevista all’articolo 31 comma 2 del citato Regolamento Consob 11522, lasciando spazio ad interpretazioni spesso foriere di minacce alla tutela degli investitori ed all’integrità dei mercati. Si fa riferimento, in particolare, alla previsione per la quale anche le Società che esercitano un’attività di impresa di tipo non finanziario possono essere classificate come operatori qualificati, purché “[…] in possesso di una specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in strumenti finanziari espressamente dichiarata per iscritto dal legale rappresentante”.
L’intepretazione delle Banche e la prassi adottata
L’interpretazione letterale dell’art. 31 comma 2 – ovvero che bastasse una semplice dichiarazione autoreferenziale del legale rappresentante della Società di possedere la necessaria specifica competenza ed esperienza – è stata chiaramente preferita dagli istituti bancari e finanziari. La dichiarazione di operatore qualificato che normalmente veniva fatta firmare consisteva in una semplice riproposizione di quanto contenuto nella parte finale del comma 2 dell’art. 31, senza alcun riferimento ai “fatti” che provassero l’esperienza e la conoscenza in materia di strumenti finanziari.
Tale prassi ha dato vita a situazioni estremamente pericolose per le Società – e per i mercati in generale – specialmente con riferimento alle operazioni di sottoscrizione di derivati finanziari. Particolarmente diffusa era la prassi tale per cui l’intermediario, al momento della sottoscrizione del contratto quadro per operazioni in derivati – che segna l’inizio del rapporto in derivati tra Società ed intermediario – richiedesse la dichiarazione di operatore qualificato sottoscritta dal rappresentante legale della Società anche quando era chiaro che la controparte nel concreto non avesse la specifica esperienza e conoscenza richiesta dalla normativa vigente. Tutto ciò con il chiaro intento, da parte dell’intermediario, di vedersi esonerato dal rispetto dei vincoli alla sua operatività derivanti dalle tutele a favore dell’investitore e di concludere operazioni in derivati altamente strutturate ed estremamente redditizie. Senza la dichiarazione di operatore qualificato, infatti, l’intermediario non avrebbe potuto far sottoscrivere alla Società operazioni in derivati strutturate e, pertanto, inadeguate rispetto alle conoscenze finanziarie e agli obiettivi di investimento della stessa. E di conseguenza avrebbe dovuto rinunciare a molte occasioni di guadagno.
Vale sottolineare che nella normativa antecedente alla direttiva comunitaria MiFID non vigeva l’obbligo – ora in vigore – a carico dell’intermediario di astenersi dall’effettuare operazioni non adeguate ad una controparte non qualificata. Nella previgente regolamentazione (ex art. 29 Reg. Consob 11522), invece, l’intermediario doveva solo comunicare al cliente l’inadeguatezza dell’operazione in esame, salvo poi avere facoltà di concluderla. Ovviamente il rischio di concludere un’operazione non adeguata ad una controparte non qualificata era quello di contravvenire ai principi generali di correttezza e diligenza. Ma poiché l’art. 31.1 Reg. Consob 11522 esonerava l’intermediario dal rispetto dell’art. 29 nel caso di operazioni che avevano come controparte operatori qualificati, bastava far sottoscrivere la dichiarazione di operatore qualificato anche a chi in realtà non poteva essere classificato come tale.
I quesiti della giurisprudenza e l’interpretazione della Corte di Cassazione
A fronte del vuoto interpretativo lasciato dal Legislatore, si sono distinte due scuole di pensiero circa l’interpretazione dell’art. 31 Reg. Consob 11522, che si sono attestate su posizioni agli antipodi l’una dall’altra. Seconto taluni interpreti la dichiarazione validamente sottoscritta dal rappresentante legale della Società costituiva condizione sufficiente per classificare la Società stessa come operatore qualificato. Altri, al contrario, ritenevano necessario che sussistesse un’effettiva conoscenza ed esperienza da parte della Società circa le operazioni di investimento in strumenti finanziari per ottenere la classificazione di operatore qualificato.
I dubbi della giurisprudenza e della dottrina sono stati diradati dalla Corte Suprema che, con la Sentenza del 26 giugno 2009, è intervenuta nel merito della questione interpretativa del disposto dell’articolo 31 del Regolamento Consob 11522. Nella citata sentenza la Corte di Cassazione ha sostenuto che “[…] la natura di operatore qualificato discende dalla contemporanea presenza di due requisiti: uno di natura sostanziale, vale a dire l’esistenza della specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in valori mobiliari in capo al soggetto (società o persona giuridica) che intenda concludere un contratto avente ad oggetto operazioni su detti valori; l’altro, di carattere formale, costituito dall’espressa dichiarazione di possedere la competenza ed esperienza richieste, sottoscritta dal soggetto medesimo”.
Nella citata sentenza, la Corte di Cassazione ravvisa nel disposto dell’art. 31 la volontà del Legislatore di sottolineare l’importanza della dichiarazione di operatore qualificato così come l’assenza di qualsivoglia implicita corrispondenza tra il contenuto della dichiarazione e l’effettiva realtà dei fatti. In sostanza, fatta salva l’eventuale contrarietà di elementi contrari emergenti dalla documentazione già in possesso dell’intermediario, viene stabilito l’esonero per l’intermediario di verificare la corrispondenza tra la dichiarazione di operatore qualificato e l’effettiva conoscenza ed esperienza del rappresentante legale della Società.
Tuttavia, in caso di asserita discordanza tra la dichiarazione di operatore qualificato e la realtà effettiva, toccherà alla Società dimostrare, in sede di processo, che:
- i requisiti di operatore qualificati non sussistevano nel concreto e che, quindi, la Società non era in possesso dell’effettiva conoscenza ed esperienza in materia di strumenti finanziari,
- l’intermediario ne era a conoscenza o poteva agevolmente conoscere siffatta discordanza tra dichiarazione e realtà concreta.
L’interpretazione da parte della Cassazione della normativa pre-MiFID in materia di operatore qualificato si pone, pertanto, a metà strada tra le due scuole di pensiero prima citate. Riassumendo, la Suprema Corte ha statuito che
- la sottoscrizione della dichiarazione di operatore qualificato, sebbene non sia una dichiarazione di natura confessoria atta ad attribuire valore affermativo della scienza e verità di un fatto obiettivo, responsabilizza il rappresentante legale di una Società per effetto degli atti che tale dichiarazione produce;
- a fronte di tale dichiarazione, l’intermediario che non sia già in possesso di elementi contraddittori al contenuto della stessa è esonerato dal condurre ulteriori accertamenti in merito all’effettiva conoscenza ed esperienza della Società in materia di investimenti in strumenti finanziari;
- in caso di asserita discordanza tra il contenuto della dichiarazione di operatore qualificato e la realtà concreta, l’onere di provare tale discordanza grava sulla Società;
- se provata, la discordanza tra dichiarazione e realtà effettiva dei fatti rende inefficace la dichiarazione di operatore qualificato.
L’orientamento della Suprema Corte in materia di operatore qualificato ha trovato ampia applicazione nella giurisprudenza. In tal senso si sono espressi i Giudici del
- Tribunale di Reggio Emilia (sentenza n. 1281 del 2 ottobre 2009),
- Tribunale di Torino (sentenze n. 7952 del 23 novembre 2009 e n. 8151 del 30 novembre 2009),
- Tribunale di Udine (sentenza del 13 aprile 2010),
- Tribunale di Bari (sentenza del 15 luglio 2010), e
- Tribunale di Rimini (sentenza n. 1523/2010).
Alcuni Tribunali, come ad esempio il Tribunale di Torino (sentenza del 18/09/2007), hanno addirittura anticipato la pronuncia della Cassazione.
In tutti i casi sopra citati il giudice ha effettuato una valutazione che è entrata nel merito della questione, valutando l’effettiva sussistenza in capo alla Società dei requisiti di conoscenza ed esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari. Un’analisi del genere non può basarsi soltanto sulla verifica del fatto che la Società, prima della sottoscrizione del contratto quadro in derivati, abbia o meno sottoscritto operazioni di investimento in operazioni finanziarie. Deve essere condotta, invero, una parallela valutazione sulla struttura organizzativa della Società, sui mercati raggiunti dai propri prodotti, sul fabbisogno di finanziamento e sui rischi della gestione di tesoreria.
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